«Salus rei publicae suprema lex esto» è il motto dell’Esercito Italiano. Trasposto a livello europeo, in presenza degli smottamenti geopolitici provocati dalla nuova presidenza americana il motto può spiegare alcune reazioni senza precedenti. Infatti un piano impegnativo come il ReArm Europe approvato dal Consiglio Europeo lo scorso 6 marzo, recependo la proposta della Commissione Ue di due giorni prima, sarebbe stato impensabile solo fino a poche settimane fa.
Ma che cosa prevede il piano di Ursula von der Leyen e quali sono le sue implicazioni? Anzitutto le risorse previste per il riarmo ammontano a circa 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, di cui 650 miliardi (l’1,5% del pil dell’area) potranno provenire dall’aumento della spesa dei singoli Stati membri per la difesa. E già questo pone l’interrogativo su come potranno farvi fronte gli Stati con limitata capacità fiscale, come l’Italia, sulla quale già pesa il macigno del debito pubblico. I restanti 150 miliardi di euro deriveranno da un nuovo strumento che consentirà alla Commissione Europea di emettere obbligazioni e di erogare prestiti agli Stati membri sulla base dei piani nazionali di approvvigionamento di durata decennale che dovranno privilegiare le industrie europee.
I Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (Pnrr) concordati in sede europea costituiscono un precedente. Il piano ha anche un altro precedente nello strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza (Sure) attivato nella fase post Covid-19, anche se in quel caso erano previste sovvenzioni piuttosto che prestiti. Il piano von der Leyen prevede altre misure, come un maggior ruolo della Banca Europea per gli Investimenti, che dovrà ampliare i criteri per l’erogazione dei prestiti rivalutando quelli di esclusione delle attività finanziabili e aumentando i volumi dei fondi disponibili, pur sempre nel rispetto dei limiti della propria capacità finanziaria. Il piano prevede non solo di imprimere una diversa destinazione ai fondi di coesione europei ma anche di mobilitare capitali privati.
Urge l’unione dei mercati dei capitali
A questo fine occorre assicurare alle imprese europee un miglior accesso al mercato dei capitali anche per poter accrescere la scala delle produzioni industriali e finanziare l’intera catena, dall’attività di ricerca e sviluppo alla consegna dei materiali. Diventa ancor più urgente, secondo il piano, completare l’Unione dei Mercati dei Capitali, come già auspicato dai rapporti Letta e Draghi lo scorso anno. Come sottolinea anche il comunicato stampa diffuso in seguito alla riunione del Consiglio Europeo, fondamentale sarà superare le attuali inefficienze attraverso l’aggregazione della domanda di armamenti, munizioni e altri beni necessari e l’armonizzazione dei sistemi per favorire l’interoperabilità.
I presupposti per l’attuazione del piano sono almeno due: l’allentamento della disciplina degli aiuti di Stato e una maggior flessibilità nell’applicazione delle regole sul Patto di Stabilità e Crescita approvate lo scorso anno, che impongono agli Stati membri la camicia di forza di mantenere il livello del debito al di sotto del 60% del prodotto interno lordo e il deficit al di sotto del 3%.
Quanto agli aiuti di Stato, la Commissione Europea ha già avuto modo di venire incontro a eventi straordinari come la crisi finanziaria del 2008-2011 e la pandemia da Covid-19. Una serie di comunicazioni infatti hanno operato un’interpretazione molto elastica delle regole europee per consentire finanziamenti e altre misure di sostegno alle imprese. Fondamentale sarà riconoscere agli Stati membri un maggiore margine di manovra fiscale per aumentare la spesa per la difesa.
La clausola di salvaguardia nazionale
Il piano prevede l’attivazione della cosiddetta «clausola di salvaguardia nazionale» (escape clause) inserita lo scorso anno nel Patto di Stabilità e Crescita. La clausola prevede che singoli Stati possano richiedere al Consiglio (composto dai ministri di settore degli Stati membri) l’autorizzazione a deviare dalla traiettoria fiscale che si sono dati al fine di rispettare i parametri. Il presupposto è che siano intervenute «circostanze eccezionali fuori dal controllo» che hanno un maggior impatto sulle finanze pubbliche (articolo 26 del Regolamento Ue n. 2024/1263). Una criticità è che la deroga può essere accordata per un solo anno (ancorché rinnovabile) e ciò rende più complessa la pianificazione a lungo termine.
Con il piano ReArm Europe, che sta suscitando molti mal di pancia in Italia già a partire dal nome, l’Europa sembrerebbe capace di un colpo di reni. E ciò anche se la prospettiva di una difesa comune europea resta un miraggio perché presuppone una rinuncia degli Stati membri a una componente fondamentale della propria sovranità. Ma, come ha sottolineato Ursula von der Leyen in conferenza stampa, stiamo vivendo «the most momentous and dangerous of times». È in gioco la salus della res publica europea. (riproduzione riservata)
*Ordinario di Diritto Amministrativo alla Sapienza Università di Roma
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