La digitalizzazione sta lentamente ma inesorabilmente trasformando il settore agricolo in Italia e in Europa.
È un processo attraverso il quale possono essere ampliate le performance delle aziende agricole in fatto di sostenibilità, produttività e resilienza, più precisamente tramite le tecnologie dell’Internet delle cose (IoT – Internet of Things), i sensori, l’analisi dei dati (ad esempio basata sull’IA) e i sistemi di sostegno alle decisioni, portando a operazioni agricole più mirate e precise.
Al 2023 secondo il Crea le aziende agricole digitalizzate in Italia erano 176.982 (15,8%), non equamente distribuite sul territorio nazionale. Molte regioni presentano aziende agricole con un grado di digitalizzazione superiore rispetto ad altre: ad esempio oltre la metà di quelle censite si trova sul territorio di Trento e Bolzano.
Il digital divide in Italia rappresenta per lo sviluppo della digitalizzazione in agricoltura uno scoglio da superare a diversi livelli. Per la sua conformazione orografica, l’Italia non permette una diffusione capillare delle reti di comunicazione, ma la connessione mobile, satellitare, è comunque una realtà presente in tutta la penisola, a parte qualche eccezione.
Quando si parla di digitalizzazione si parla anche di agricoltura di precisione, ossia quella strategia di gestione dell’attività agricola con la quale i dati vengono raccolti, elaborati, analizzati e combinati con altre informazioni per orientare le decisioni al fine di migliorare l’efficienza nell’uso delle risorse, la produttività, la qualità, la redditività e la sostenibilità della produzione agricola. Ebbene anche qui vi è un divario di conoscenza, un knowledge gap che non permette la sua riuscita, dettato della mancanza di formazione degli operatori e dallo scetticismo degli imprenditori agricoli, che vanno rassicurati sull’utilizzo dati, fornendo garanzie per la loro condivisione, sovranità e messa in sicurezza.
Parlando di lavoro invece, e tenendoci lontani da un rischio di neoluddismo, si percepisce un trend negativo dell’impiego dell’IA in agricoltura: in particolare, seppur sia difficile isolare completamente l’impatto della variabile tecnologica sull’occupazione, in 20 anni questa nel settore agricolo si è ridotta del 25,7%. Permane dunque un’emergenza manodopera che rende indispensabile per le imprese investire sulle competenze, l’innovazione, la formazione, il ricambio generazionale per garantire maggiore e migliore produttività, e di conseguenza innalzare redditi e occupazione lungo tutta la filiera del made in Italy agroalimentare.
Proprio per ovviare a questa problematica, l’UE ha adottato la normativa sui dati, che entra in vigore quest’anno, un Codice di condotta sulla condivisione dei dati agricoli, istituito da un gruppo di associazioni della filiera agroalimentare europea che fornisce orientamenti sull’uso dei dati agricoli, in particolare sui diritti di accesso e utilizzo.
In conclusione, solo superando il digital divide le PMI agricole o anche le stesse start-up, quelle più lungimiranti e innovative possono sviluppare, crescere ed affermarsi, dando vita a nuovi paradigmi e a nuove opportunità di lavoro, a nuove idee con scenari permeati da soluzioni moderne capaci di ridisegnare l’ecosistema agroalimentare fatto di nuove sfide, tutte ancora da giocare.
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