Gli immobili nel reddito d’impresa alla luce di recenti sentenze della Cassazione


Il tema della corretta classificazione degli immobili è questione centrale nel reddito d’impresa, con immediate ripercussioni sul modello dichiarativo di prossima redazione; basti pensare al rigo RF 10 del modello Redditi SC 2025 (ancora in bozza), in cui rilevare i costi degli immobili patrimoniali che, ex articolo 90, Tuir, non sono deducibili, ancorché imputati a Conto economico. Su questo tema è recentemente intervenuta la Cassazione, con sentenza n. 25550/2024, i cui contenuti lasciano alquanto perplessi, e forse è stata persa un’occasione per fare una volta per tutte chiarezza sui tratti distintivi delle tre categorie di immobili d’impresa. È noto che un immobile può rappresentare, per l’impresa che lo detiene, tre diversi assets, da iscrivere con diverse modalità nell’attivo patrimoniale:

  • immobile merce: è l’immobile al cui scambio è finalizzata l’attività d’impresa. Esso può essere acquistato con l’obiettivo di una futura cessione, costruito ex novo, ristrutturato; insomma, l’elemento qualificante è la destinazione del bene a produrre ricavi per la vendita. L’immobile in questione va collocato negli acquisti di merce, quindi voce B 6 del Conto economico, così come in questa voce vanno collocate le merci e le materie prime acquistate e necessarie per la sua costruzione o ristrutturazione. A fine esercizio tale bene va rilevato tra le rimanenze con valutazione esclusivamente al costo. Questa ipotesi non va confusa con gli immobili costruiti in base a contratti di appalto da parte di imprese costruttrici che non hanno la proprietà del terreno sottostante e si limitano a prestare servizi di costruzione a favore di un committente, poiché in tal caso avremmo, comunque, la necessità di rilevare le rimanenze (voce A 3 del Conto economico), ma sarebbero opere in corso su ordinazione determinate, in taluni casi, anche al corrispettivo maturato e non al costo. La classificazione dell’immobile tra le rimanenze è strettamente legata ad acquisti di merci e materie prime necessari per la costruzione rilevate nella voce B6 del Conto economico e questo passaggio è fondamentale alla luce di ciò che diremo tra breve, analizzando la citata sentenza della Cassazione. Gli immobili merce non entrano nel test di operatività da società di comodo, di cui all’articolo 30, L. 724/1994 (recentemente modificato dall’articolo 20, D.Lgs. 192/2024) e nulla vieta che la destinazione alla cessione inizialmente adottata dal management dell’azienda venga modificata nel tempo con implicazioni contabili e fiscali di non poco conto;
  • immobile patrimonio: è l’immobile che rappresenta un investimento duraturo dell’impresa, non utilizzato come bene strumentale per esercitare l’attività aziendale, bensì come oggetto della stessa attività come ha ricordato più volte la Cassazione (tra le altre, la sentenza n. 4417/2020) che, sul punto, recita : “la nozione di “beni strumentali” va restrittivamente intesa, includendovi esclusivamente gli immobili che abbiano, come unica destinazione, quella di essere direttamente impiegati nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali, così da non essere idonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti”. Si tratta di un bene da iscrivere nell’attivo patrimoniale immobilizzato nella voce B II 1, come suggerisce il documento Oic 16 che, al § 59, aggiunge la necessità di evitare il processo di ammortamento se il valore residuo è pari o superiore rispetto al valore contabile. Tali beni sono disciplinati fiscalmente dall’articolo 90, Tuir, secondo cui essi partecipano alla formazione del reddito d’impresa in base alle regole previste per i redditi fondiari, il che comporta l’esclusione della deduzione analitica dei costi relativi a detti beni. In quanto beni iscritti nelle immobilizzazioni materiali, questi immobili sono da considerare nel test di operatività sopra citato;
  • immobili strumentali per natura o per destinazione: è l’immobile utilizzato in modo duraturo direttamente nel processo produttivo di una certa impresa (o avente meramente caratteristiche tali da non poter essere utilizzato in modo non strumentale), da iscrivere tra le immobilizzazioni materiali, voce B II1 dell’attivo patrimoniale e da sottoporre al processo di ammortamento limitatamente al valore del costruito. Non va ammortizzata l’area sottostante, posto che: “I terreni non sono oggetto di ammortamento salvo nei casi in cui essi abbiano un’utilità destinata ad esaurirsi nel tempo come nel caso delle cave e dei siti utilizzati per le discariche” (Oic 16, § 60).

Ebbene, alla luce di tale ricostruzione normativo/contabile, appare non facilmente comprendibile il ragionamento eseguito dalla CTR Piemonte, con sentenza 612/15; sentenza che, poi, ha portato alla citata pronuncia della Suprema Corte n. 25550/2024. Infatti, secondo la CTR Piemonte la società in questione aveva costruito un immobile; ebbene “… Tale circostanza, giustificava l’ascriversi dell’immobile ai beni patrimoniali e ciò anche in assenza della contabilizzazione del valore di esso tra le rimanenze, dovendo qualificarsi tale condotta di bilancio come un errore formale inidoneo a mutare la natura del bene in questione”.

Come si possa immaginare che un immobile vada classificato come patrimoniale, in quanto costruito per la cessione non è ben chiaro, come non è chiaro per quale motivo un immobile patrimoniale debba essere qualificato tra le rimanenze. Detto ciò, è evidente che un immobile costruito per la cessione non può dare luogo a plusvalenze quando è trasferito a terzi (come erroneamente ha ritenuto la società oggetto dell’accertamento), ma nemmeno accettabile (come invece emerge nella sentenza della Cassazione) è il fatto che, cedendo un immobile per un importo, ad esempio, di 500.000 euro, l’ufficio accerti la stessa somma come reddito non dichiarato. È evidente, infatti, che il reddito imponibile della cessione non può che essere il differenziale tra il ricavo della vendita e l’ammontare delle rimanenze iniziali, mentre nella sentenza della Cassazione si accoglie la tesi dell’ufficio, secondo cui l’imponibile evaso è il ricavato della vendita, senza prendere in considerazione l’importo delle rimanenze iniziali.

Ecco, perché, si diceva all’inizio, che con la sentenza n. 25550/2024, la Suprema Corte ha perso un’occasione per dire con, semplicità e chiarezza, che:

  • cedendo un immobile merce, l’imponibile è il differenziale tra costo di acquisto o costo di costruzione (eventualmente allocato tra le rimanenze iniziali) e il ricavo della cessione;
  • cedendo un immobile patrimoniale l’imponibile è il valore plusvalente, calcolato senza tener conto di alcun ammortamento dello stesso bene;
  • cedendo un immobile strumentale, l’imponibile è generato dalla plusvalenza, che tiene conto del processo di ammortamento della parte del bene sovrastante l’area su cui insiste il fabbricato ceduto.



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