Flavio Ferretti, presidente di IBC, racconta le strategie che le piccole e medie imprese possono applicare per affrontare i cambiamenti di un mercato sempre più sfidante
Le piccole e medie imprese del settore dei beni di consumo rappresentano una parte fondamentale del tessuto produttivo italiano. Con oltre 35.000 aziende associate, IBC, Industrie Beni di Consumo, è la realtà che più di tutte raccoglie le istanze di un comparto che, pur essendo il motore dell’economia nazionale, si trova ad affrontare sfide sempre più complesse: incertezza geopolitica, rincari delle materie prime, dazi doganali in evoluzione e una logistica internazionale che non facilita certo la competitività delle nostre imprese. A questo si aggiunge una difficoltà strutturale, forse la più grande di tutte: le Pmi italiane sono ancora troppo piccole per competere ad armi pari con le grandi multinazionali e, nella maggior parte dei casi, hanno risorse limitate per affrontare le transizioni necessarie, dalla digitalizzazione alla sostenibilità. È in questo contesto che IBC sta lavorando per fornire risposte concrete alle imprese, proponendo soluzioni pratiche in settori chiave come la digitalizzazione, la logistica e la valorizzazione del Made in Italy sui mercati esteri. Ce lo racconta Flavio Ferretti, presidente di IBC, con cui abbiamo parlato delle sfide e delle opportunità per le Pmi italiane, dei progetti in corso e di come le aziende possono giocarsi le loro carte per restare competitive in un mercato sempre più complesso e imprevedibile.
IBC rappresenta 35.700 imprese del settore dei beni di consumo. Qual è oggi lo stato di salute delle Pmi italiane?
Il contesto attuale è caratterizzato da una forte incertezza, che dura ormai da anni. Gli elementi di criticità sono molteplici: crisi geopolitiche, oscillazioni del dollaro, costi delle materie prime, logistica internazionale sempre più complessa e, più di recente, l’incognita dei dazi. Tutto questo rende difficile la pianificazione aziendale e l’elaborazione di budget affidabili. Inoltre, la struttura delle imprese che rappresentiamo è molto frammentata: circa 20.000 delle nostre associate hanno un fatturato inferiore al milione di euro annuo. Questo significa che molte realtà hanno difficoltà nel reperire competenze specializzate e nel dotarsi degli strumenti necessari per affrontare queste sfide. Il nostro ruolo è proprio quello di offrire un supporto consulenziale, aiutando le aziende a implementare soluzioni di digitalizzazione, logistica integrata ed efficientamento economico.
Uno dei temi su cui IBC sta lavorando è la digitalizzazione: in che modo può fare la differenza per le Pmi?
Digitalizzarsi non è più un’opzione, ma una necessità. Per molte Pmi si tratta di un passaggio essenziale per ridurre i costi operativi, migliorare la gestione della supply chain e semplificare le relazioni con fornitori e clienti. Abbiamo avviato un ciclo di seminari sul territorio nazionale proprio per accompagnare le aziende in questo percorso. Le tecnologie come il Web Edi (Electronic Data Interchange) o gli standard GS1 permettono di migliorare i processi di fatturazione, tracciabilità e gestione degli ordini, con impatti immediati sulla competitività. Il nostro obiettivo è dimostrare alle Pmi che non si tratta di investimenti proibitivi, ma di strumenti concreti e rapidamente implementabili, che possono generare risultati immediati in termini di efficienza e marginalità.
Anche la logistica è un tema centrale. Quali sono le maggiori criticità e come possono essere superate?
Il costo della logistica incide sempre di più sulla competitività delle imprese e per le Pmi può essere un freno all’export. Bisogna intervenire sull’integrazione logistica: molte aziende faticano a ottimizzare i flussi di trasporto, con costi elevati e inefficienze nella distribuzione; soluzioni come il groupage (condivisione dei trasporti tra più aziende) o l’uso più strutturato di hub logistici possono migliorare la situazione. Importante anche l’intermodalità: in Italia l’uso della rotaia per il trasporto delle merci è ancora marginale rispetto ad altri Paesi europei. Il problema non è solo la mancanza di infrastrutture, ma anche la difficoltà di avere punti di transito efficienti per il passaggio tra treno e gomma. Se vogliamo sostenere le Pmi nell’export, dobbiamo abbattere i costi logistici e rendere il sistema più fluido e accessibile.
A proposito di export: IBC ha recentemente partecipato a un’audizione parlamentare sul Made in Italy. Quali sono i principali rischi e le azioni necessarie per proteggere il brand Italia?
Il Made in Italy è un asset strategico per l’economia italiana, ma è anche costantemente minacciato dall’Italian Sounding, ossia dall’uso improprio di denominazioni italiane su prodotti che italiani non sono; si tratta di un fenomeno che penalizza le nostre imprese per miliardi di euro ogni anno. IBC sta lavorando affinché ci siano maggiori tutele a livello europeo e internazionale, con controlli più rigidi e azioni concrete per contrastare le falsificazioni. In parallelo, dobbiamo rafforzare la promozione del Made in Italy sui mercati esteri, sfruttando strumenti come marketplace digitali, fiere internazionali e programmi di internazionalizzazione mirati.
Le Pmi italiane hanno spesso difficoltà a crescere dimensionalmente. Quali sono gli ostacoli principali e come superarli?
Il problema dimensionale è una storica debolezza del sistema imprenditoriale italiano. All’estero, in molti settori, i processi di aggregazione sono già avvenuti, mentre in Italia esistono ancora troppe microimprese che faticano a competere. Le aziende stanno iniziando a muoversi in questa direzione: fusioni, acquisizioni e collaborazioni strategiche stanno diventando più frequenti, ma è un processo lento. Serve un cambio culturale: la crescita non deve essere vista come una perdita d’identità, ma come un’opportunità per essere più forti sul mercato. Un altro aspetto critico è la difficoltà di accesso ai finanziamenti per le Pmi, che spesso hanno meno strumenti rispetto alle grandi imprese per investire in innovazione e sviluppo internazionale. Politiche fiscali mirate e incentivi per la crescita potrebbero dare una spinta decisiva in questa direzione.
Parlando di regolamenti europei, come stanno affrontando le Pmi il tema Esg e le nuove normative?
Le normative europee su sostenibilità e Esg stanno diventando sempre più stringenti, ma molte Pmi non sono ancora pronte. Il problema principale è che le regole cambiano spesso e sono estremamente complesse, creando difficoltà anche per le aziende più strutturate. Le Pmi, in particolare, faticano a raccogliere e gestire i dati richiesti per la conformità agli standard Esg. Per questo motivo, lavoreremo a strumenti e piattaforme che possano facilitare questo processo, aiutando le imprese a essere compliant senza un eccessivo carico burocratico.
Infine, le persone: la carenza di manodopera è un problema anche per le aziende di IBC?
Assolutamente sì, ed è una sfida trasversale a tutto il mercato del lavoro. Trovare personale qualificato è sempre più difficile e il problema riguarda sia il settore industriale sia quello della logistica. Dobbiamo affrontare il tema con una doppia strategia: formazione interna e valorizzazione delle competenze senior. Le aziende devono imparare a trasferire il know-how tra le generazioni, perché il rischio è perdere competenze fondamentali. In parallelo, è necessario un ripensamento delle politiche sul lavoro, per rendere il settore più attrattivo per le nuove generazioni e incentivare l’ingresso di personale qualificato.
Oggi più che mai, le Pmi italiane devono investire in strumenti concreti per crescere e rafforzare la loro posizione. Chi non si adatta, rischia di essere tagliato fuori
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