Né rifinanziato, né cancellato. Il Fondo per la Repubblica Digitale rimane operativo, ma il suo futuro appare ora più incerto.
Gli sviluppi degli ultimi mesi, infatti, pongono alcune domande su questo importante strumento nato “per accompagnare l’Italia verso la transizione digitale” mutuando il meccanismo – molto in linea coi principi del secondo welfare – già usato per il Fondo di contrasto alla povertà educativa.
Proprio come quest’ultimo strumento, come vi abbiamo raccontato qui, il Fondo per la Repubblica Digitale è stato messo in discussione da alcune scelte del Governo che, seppur non nell’immediato, rischiano di comprometterne il funzionamento. Ma andiamo con ordine.
Il punto della situazione
Il Fondo, si legge sul suo sito istituzionale, è nato a fine 2021 ed è una “una partnership tra pubblico e privato sociale (Governo e Associazione di Fondazioni e di Casse di risparmio – Acri), che si muove nell’ambito degli obiettivi di digitalizzazione previsti dal PNRR (Piano Nazione di Ripresa e Resilienza)”. Ad alimentarlo sono versamenti delle Fondazioni di origine bancaria, alle quali è riconosciuto un contributo sotto forma di credito d’imposta. Per consentire questo sconto sulle tasse pagate dalle Fondazioni, in questi anni lo Stato ha messo a bilancio delle risorse economiche.
Avrebbe dovuto farlo anche per il 2025, ma un primo Decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) del luglio 2024 che stanziava 70 milioni di euro è stato cancellato e la Legge di bilancio 2025 non ha destinato alcuna risorsa al Fondo.
La notizia l’ha data Il Foglio, spiegando “che quando a settembre scorso il segretario generale di Palazzo Chigi ha predisposto il bilancio di previsione per il 2025 ha ritenuto, probabilmente per la spending review, di azzerare il capitolo di bilancio delle risorse relative al Fondo per la Repubblica digitale”.
Il Fondo, quindi, come scritto da alcune testate, è stato cancellato? No, il Fondo continua ad operare grazie ai soldi versati negli anni precedenti, ma vengono meno le risorse pubbliche che avrebbero consentito di alimentarlo con ulteriori donazioni da parte delle Fondazioni di origine bancaria nel corso di quest’anno.
Preoccupazione e perplessità
Il 26 febbraio un cartello di organizzazioni del Terzo Settore attive nell’ambito del digitale, ha reagito a questa situazione con una presa di posizione pubblica. “CISV ETS, FOCSIV-Volontari nel Mondo, Gnucoop, Impactskills, Informatici Senza Frontiere, ITac@, Jengalab manifestano congiuntamente la propria preoccupazione per la decisione del Governo”, si legge in una nota congiunta.
Gli enti firmatari si dicono “perplessi” della scelta governativa, della quale “di riflesso, ne risentirà anche il mondo delle Piccole e medie imprese, l’ecosistema delle start-up italiano, ma anche gli enti no profit e gli enti del Terzo Settore”.
“Abbiamo partecipato a un progetto del Fondo per la Repubblica Digitale, per colmare il divario digitale delle donne”, racconta Silvio Pochettino di ImpactSkills. A suo parere, azioni come quelle cui ha preso parte sono “molto interessanti per la crescita di un Terzo Settore più formato, più competente, più efficace e con un maggiore impatto”. Questo perché “i piccoli player, particolarmente in questo momento storico, hanno necessità di essere accompagnati e supportati in un percorso di digitalizzazione etico e sostenibile”, si legge ancora nella nota delle sette organizzazioni.
La vicenda, però, è stata poco ripresa nel dibattito dentro e fuori questo mondo. Quantomeno in maniera decisamente minore rispetto a quella simile che aveva toccato il Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile, i cui finanziamenti erano stati anch’essi tagliati dalla Legge di Bilancio.
In un articolo pubblicato in quell’occasione, avevamo scritto che il Fondo per la povertà educativa è “un ampio e variegato cantiere di innovazione sociale che porta in primo piano il valore che la sinergia fra primo e secondo welfare può assumere”. È una definizione calzante anche per il Fondo per la Repubblica Digitale, che infatti è nato, si legge sempre sul suo sito, “ispirandosi all’innovativa e positiva esperienza” del Fondo per la povertà educativa.
Per contrastare la povertà educativa dei minori, però, i fondi sono stati parzialmente reintrodotti dal cosiddetto Decreto Milleproroghe di febbraio. Per continuare a garantire competenze digitali anche alle persone più fragili, invece, non è ancora accaduto nulla. O quasi.
Il Piano Strategico 2025-2026
Il 3 marzo c’è stato uno sviluppo. Un comunicato del Fondo per la Repubblica Digitale dà notizia dell’approvazione del Piano Strategico 2025-2026, che contiene misure “volte a garantire il consolidamento di attività già avviate con successo e confermare nuove iniziative”.
“Nonostante la rimodulazione delle risorse a disposizione come da Legge di Bilancio per l’anno 2025 – prosegue il comunicato – il Fondo mette in campo, per il biennio 2025-2026, 100 milioni di euro”. Può sembrare un annuncio in contraddizione con il taglio dei 70 milioni per il 2025, ma non è così.
Il Piano strategico, infatti, è finanziato dalle risorse che il Fondo aveva già in pancia, grazie agli stanziamenti pubblici e alle donazioni degli anni precedenti. Se la Legge di bilancio 2025 avesse confermato i 70 milioni di euro inizialmente decisi, le attività avrebbero potuto essere meglio finanziate e più ampie.
“Pur tenendo conto della rimodulazione delle risorse disponibili, il nostro impegno per accompagnare il Paese nella transizione digitale resta saldo”, dichiara nel comunicato Giovanni Fosti, presidente del Fondo per la Repubblica Digitale – Impresa sociale. “Solo così possiamo garantire maggiore coesione sociale e un processo di trasformazione digitale equo ed efficace”, aggiunge e, infatti, nei giorni successivi il Fondo ha annunciato i 24 progetti vincitori del bando “Digitale sociale” e una nuova iniziativa con Google.org nell’ambito delle intelligenze artificiali.
Quale futuro?
Altre azioni del Fondo seguiranno nei prossimi mesi, fino alla fine del biennio e anche oltre, considerato che alcuni progetti definiti dal Piano strategico potrebbero concludersi anche dopo il 31 dicembre 2026.
Cosa succederà dopo quella data? Verranno trovati nuovi fondi nei prossimi mesi o bisognerà aspettare la prossima Legge di Bilancio? E, più in generale, quale sarà il futuro del Fondo per la Repubblica Digitale?
Sono domande ad oggi aperte.
Il comunicato stampa relativo al Piano Strategico, però, aggiunge alcune informazioni importanti. “Attraverso la valutazione d’impatto dei progetti sostenuti, il Fondo mira, nell’arco del quinquennio 2022-2026, a selezionare i più efficaci per ampliarne l’azione sul territorio nazionale e raggiungere più persone, realizzando miglioramenti tangibili nelle competenze digitali”, vi si legge. Inoltre, viene precisato che “l’obiettivo strategico del Fondo è individuare le best practice in ambito di upskilling e reskilling digitale, così da poterle riportare al decisore pubblico perché possa utilizzarle nella definizione di future politiche nazionali”. I dati derivanti dalla valutazione d’impatto potrebbero dunque essere una chiave importante per rispondere agli interrogativi di cui sopra.
Ma altri elementi utili per cercare delle risposte possono già arrivare dall’osservare che cosa ha fatto il Fondo, in che modo e all’interno di quale contesto ha operato. Soprattutto quando l’osservazione arriva da occhi esperti.
L’emergenza e l’inverno
“Il Fondo ha un approccio complementare e scientifico importante perché misura gli impatti dei suoi progetti in maniera rigorosa e perché tocca aree non coperte dal PNRR, come i NEET o le giovani donne lavoratrici, su cui l’Italia fa fatica”, argomenta Luca Gastaldi, professore del Politecnico di Milano e direttore degli Osservatori Agenda digitale e Identità digitale dell’ateneo.
Allargando lo sguardo, l’esperto traccia un quadro generale complesso, in cui “il nostro Paese continua a essere fanalino di coda in Europa”. Il professore, che ha collaborato col Governo per la missione del PNRR dedicata al digitale, sostiene che i fondi del piano siano stati ben spesi e che ci siano stati dei miglioramenti. Nonostante ciò, per Gastaldi, quella delle competenze digitali rimane “un’emergenza” per la quale le risorse stanziate sono “insufficienti”, a prescindere dai 70 milioni di euro prima promessi e poi tolti al Fondo per la Repubblica Digitale.
Inoltre, a fronte dell’attuale situazione internazionale, è plausibile ipotizzare che in futuro le risorse pubbliche (nazionali ed europee) per la transizione digitale saranno inferiori a quelle degli ultimi anni, dato l’emergere di nuove priorità come sicurezza e difesa.
“L’inverno sta arrivando”, sintetizza Gastaldi. “Per questo – conclude – l’approccio del Fondo che coinvolge attivamente Fondazioni di origine bancaria e aziende private per concorrere a risolvere un’emergenza del Paese, io non lo butterei via”.
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