I 60mila nuovi posti letto negli studentati entro il 2026? “Così l’Italia fallirà l’obiettivo del Pnrr”


Era stato presentato fin dall’inizio come un traguardo “ambizioso”, ma ora è chiaro che si tratta di un obiettivo irraggiungibile. Dei 60mila nuovi posti letto da creare entro giugno 2026 negli studentati italiani, come prevede la Missione 4 del Pnrr, soltanto 11.623 sono stati già approvati. Il numero è calcolato nel report È tutto sbagliato dell’Unione degli studenti universitari (Udu) che sottolinea anche come la maggior parte delle unità si trovi in strutture già esistenti (solo 2.959 sono stati costruiti ex novo) e gestite da privati. Udu considera i dati pubblicati ad oggi con decreti ministeriali, mentre – rispondono dal governo – il numero reale sarebbe più elevato: 22.200 al 26 febbraio secondo quanto dichiarato dal ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione, Tommaso Foti in un question time alla Camera. Ma la sostanza non cambia: sarà impossibile arrivare al target concordato con l’Unione europea, e lo sostengono da tempo anche i professori universitari: “Il modello delle residenze proposto dal Piano è stato disegnato in modo sbagliato – dice a ilfattoquotidiano.it Alessandro Santoro, prorettore all’università Milano Bicocca, docente di Finanza pubblica ed ex team leader del ministero dell’Economia per la Missione 4 durante la fase di definizione del Pnrr – perché prevedeva che il programma venisse attuato con strumenti legislativi tradizionali, invece bisognava creare appositi sistemi per renderlo efficace”.

Costi alti e zero convenzioni – Alla base dei rallentamenti c’è la questione delle risorse: per la legge 338/2000, che prima del Pnrr regolamentava i posti letto di diritto pubblico, lo Stato metteva a disposizione 80mila euro per unità. Il Piano di ripresa e resilienza, invece, copre soltanto 20mila euro a fronte di un costo medio di realizzazione di 90mila euro per studente. “È un’eredità del precedente governo – dice la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini – Ma noi non ci tiriamo indietro, e siamo almeno riusciti ad ampliare il budget iniziale, pari a 15mila euro”. La maggior parte degli enti pubblici non si è presentato ai bandi perché non riusciva a coprire le spese e i privati non si stanno sforzando di andare incontro alle necessità per cui è nato il fondo. “Faccio un esempio – dice Santoro -, sebbene il 30% dei posti letto sia destinato a tariffe calmierate, a Milano, ad esempio, secondo l’ultima riunione tecnica con il tavolo del Comune a cui ho partecipato qualche mese fa, né Politecnico, né Università Statale né Bicocca aveva ricevuto proposte di convenzionamento sul bando da 60mila posti letto”. Secondo i dati Udu, in Italia ci sono 46.193 posti letto per 900mila studenti fuori sede. Oggi soltanto il 5% di quelli esistenti si trova in alloggi pubblici, al termine del Pnrr – stando ai calcoli Udu – la copertura arriverebbe al 5,5%.

Gli enti pubblici non partecipano – Il Piano prevede che il 30% delle unità finanziate sia riservato agli enti di diritto allo studio, che partecipano ai bandi facendosi carico del costo dei posti in base alle tariffe decise. Ma ci sono due criticità: la prima è che gli alloggi sono vincolati a tariffe agevolate soltanto per 12 anni, al termine dei quali vengono immessi nel mercato. La seconda è che pochissimi enti regionali per il diritto allo studio, comuni e università hanno fatto domanda. Secondo l’indagine Udu, il 2% dei posti è pubblico contro il 95% dei privati e il 3% degli istituti ecclesiastici, che hanno presentato più iniziative delle istituzioni laiche. “Il gestore dovrebbe attivare delle convenzioni con gli enti per il diritto allo studio regionale là dove ci sono, senza le convenzioni è impossibile avviare delle residenze – dice Santoro – L’esempio di Milano fa scuola, ci siamo trovati a valutare offerte da soggetti che proponevano tariffe appena più basse rispetto a quelle di mercato. Questo per un’università non è accettabile, perché abbiamo l’obbligo costituzionale di soddisfare il diritto allo studio”. C’è infine la questione della distribuzione geografica. Alcune città universitarie in Italia sono del tutto sfornite di camere per studenti. Il caso più eclatante è l’Abruzzo, dove Chieti e Pescara accolgono complessivamente 16.698 fuori sede ma i posti esistenti sono soltanto 163, oppure la Liguria, dove tra Genova, La Spezia e Savona ci sono 12.817 universitari non residenti, ma poco più di mille hanno un luogo di diritto in cui dormire. “Il problema di fondo è che manca un sistema che metta l’interesse pubblico davanti al resto. Al livello locale, comunale e regionale, serve un quadro regolativo che imponga ai privati degli obblighi a fronte dei grandi benefici che ottengono dall’investimento nell’housing sociale”.



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