(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto economico de Il Riformista)
Il presidente di Unem (Unione energie per la mobilità) ha le idee chiare: solo mettendo in competizione tutte le tecnologie si potrà arrivare all’obiettivo del Net Zero Emissions al 2050. E plaude all’azione del Governo: «Se a livello europeo c’è stata qualche apertura sui biocarburanti e sull’anticipo della revisione del regolamento sui veicoli leggeri è stato grazie al lavoro del Governo italiano che non si è arreso. Bisogna proseguire con questo impegno e lavorare affinché la Commissione si convinca ad aprire a tutte le tecnologie disponibili calcolando le emissioni di CO2 non solo allo scarico ma sull’intero ciclo di vita».
Il settore energetico sta vivendo cambiamenti significativi a livello globale e locale. Quali sono le principali sfide che Unem sta affrontando in questo momento?
«I fondamentali dell’energia restano ancora gli stessi. È evidente una crescita della domanda di energia necessaria a garantire un giusto tenore di vita per tutti gli abitanti del nostro pianeta che aumenta ancora e raggiungerà circa 10 miliardi di persone nel 2050. È interessante notare che l’energia non è mai stata così tanta, così diversificata e così economica da quando l’uomo ha iniziato ad usarla. Il peso delle energie rinnovabili aumenta, ma circa l’80% della domanda mondiale è coperta dalle fonti fossili, più o meno come vent’anni fa. Sono sicuramente cambiati gli equilibri geopolitici ma in meglio, nel senso che si notano meno scossoni a seguito di eventi che possono incidere su alcune aree geografiche. Guardiamo cosa succede per esempio al prezzo del petrolio che, nonostante quanto sta accadendo in Russia e Medio-Oriente, si mantiene stabile tra i 70 e gli 80 dollari/barile. Questo a significare che si è diversificato molto su questa fonte consentendo a più attori internazionali di diventare protagonisti nel commercio globale. Mi riferisco sicuramente all’Africa, ma anche all’America del Nord che attualmente ha una produzione di petrolio superiore a quella di Arabia Saudita e Russia messe insieme. In questo ambito, le nostre sfide nazionali sono quindi fondate sulla necessità di poter garantire al nostro paese la fornitura di prodotti finiti ad un prezzo giusto e difendere filiere industriali strategiche non solo ai fini della sicurezza energetica, ma anche per il buon esito di una transizione che condivido e ritengo ineludibile».
Negli ultimi giorni è stato approvato il nuovo decreto accise, che prevede alcune modifiche importanti per il settore energetico e della mobilità. Come questa normativa impatterà le imprese che operano nel settore dell’energia e della mobilità in Italia?
«Posto che la tassazione sui carburanti in Italia è tra le più alte d’Europa, la modifica inserita nel decreto del Governo intende eliminare in 5 anni la differenza di accisa tra gasolio e benzina, aumentando l’aliquota sul primo e riducendola sulla seconda. L’aumento sarà quindi spalmato su più anni e non si applicherà sul gasolio impiegato nel trasporto pesante e agricolo. Inoltre, e questo è un passo importante, l’aumento non tocca il gasolio bio al 100%, ovvero HVO venduto tal quale. È opportuno evidenziare che così finalmente viene riconosciuto il credito da un punto di vista emissivo dei biocarburanti, ma si deve fare di più estendendo tale credito anche ai biocarburanti miscelati nei prodotti tradizionali che dovranno aumentare in futuro. Il tesoretto che porta in dote il decreto è un surplus di cassa di oltre 1 miliardo nei cinque anni che dovrebbe essere destinato in buona parte alla decarbonizzazione del trasporto tramite misure di sostegno alla diffusione dei biocarburanti e alla riconversione del tessuto industriale di produzione dei carburanti».
Giorni fa avete siglato un accordo con Motus E per lo sviluppo di punti di ricarica per auto elettriche presso le stazioni di carburante. Che risultati prevedete? Ed entro quali tempistiche?
«È indubbio che la rete distributiva italiana con 22mila punti vendita carburanti è inefficiente e ridondante. Lo sarà ancora di più con l’attesa penetrazione delle autovetture elettriche che arriveranno sul mercato seppure non alla velocità che si prevedeva. È altresì evidente che l’aumento dell’efficienza del motore endotermico, sempre più accompagnato da una motorizzazione elettrica, non potrà non ridurre i consumi di carburante nei prossimi anni rendendo la nostra rete ancora più ridondante. Diventa quindi cruciale pensare ad una riconversione anche della rete di distribuzione che deve diventare una rete di vendita di servizi energetici, incluse le ricariche elettriche. L’accordo con Motus-E va in questa direzione, cioè quella di stimolare e supportare i nostri Associati in questo processo di riconversione lavorando insieme a che ha già sviluppato competenze specifiche sulle colonnine di ricarica. Il tavolo tecnico congiunto si dovrà occupare di elaborare documenti tecnici utili volti a facilitare la dotazione di colonnine di ricarica presso gli impianti carburanti esistenti. Sono certo che lavoreremo bene per modernizzare finalmente una rete che ha un vero bisogno di essere adeguata ai reali consumi per rispondere alle nuove domande che arriveranno dagli automobilisti».
Lei si è espresso in termini critici sul Piano automotive Ue. Cosa non la convince delle soluzioni proposte dalla Commissione europea?
«Di fatto non ci sono proposte di soluzioni alla crisi dell’automotive che sta investendo l’intera Europa, ma solo la testarda e ottusa convinzione che si debba insistere su una monocrazia tecnologica riducendo il tema della decarbonizzazione dei trasporti alla sola elettrificazione. Credo sia giunto il momento di sviluppare una vera decarbonizzazione che si possa fondare su pluralità e neutralità tecnologica. Solo mettendo in competizione tutte le tecnologie si potrà arrivare all’obiettivo del Net Zero Emissions al 2050. Lo raccomanda fortemente anche il rapporto Draghi. È emerso chiaramente anche in occasione del tavolo automotive convocato lo scorso 14 marzo dal ministro Urso. Una politica fatta di incentivi e sussidi non è la soluzione per aiutare il settore a riguadagnare una competitività perduta, né per rendere socialmente sostenibile la mobilità elettrica. Del resto, le sole 10.000 autovetture prodotte in Italia a gennaio di quest’anno non hanno ancora fatto capire che c’è bisogno di altro per rimettere in moto un settore che rischia di andare verso una crisi irreversibile?».
Lei condivide l’approccio italiano al tema della decarbonizzazione? Quali sono le principali sfida da vincere, secondo lei, per il conseguimento di questo obiettivo?
«Direi che se a livello europeo c’è stata qualche apertura sui biocarburanti e sull’anticipo della revisione del regolamento sui veicoli leggeri è stato grazie al lavoro del Governo italiano che non si è arreso. Bisogna proseguire con questo impegno e lavorare affinché la Commissione si convinca ad aprire a tutte le tecnologie disponibili calcolando le emissioni di CO2 non solo allo scarico ma sull’intero ciclo di vita. La ricerca ha fatto enormi passi in avanti ed è quindi possibile utilizzare sistemi in grado di misurare l’effettivo contributo delle singole tecnologie. Non c’è più tempo da perdere se vogliamo salvare quel poco di industria che è rimasta in Europa».
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