La casa di gestione ha scritto ai clienti di aver rivisto le esclusioni verso aziende della difesa. La revisione è parziale, ma aprirà il vaso di Pandora: ne seguiranno altre. Perché ReArm ha cambiato l’equilibrio culturale in Europa, e gli Esg dovranno riallinearsi
La finanza sostenibile fa i conti con l’elefante nella stanza. O meglio, con il carro armato nella stanza. Se negli ultimi mesi il dibattito sugli Esg e le armi si è alimentato in modo continuo e ubiquo, ma in modalità “strisciante”, nei giorni scorsi è stato definitivamente alzato il velo. Ed è significativo che a farlo sia stata Allianz Global Investors, uno dei gestori finora più attenti alle questioni Sri (socially responsible investing) rispetto al proprio patrimonio (incluso quello assicurativo): il gruppo tedesco ha inviato una comunicazione ai propri clienti, datata 27 marzo, annunciando la decisione di eliminare le esclusioni delle armi dai fondi articolo 8. Un passo ufficiale che, probabilmente, avvierà un seguito di emulazioni, confermando quanto, nel flusso delle iniziative destabilizzanti per gli Esg, il progetto ReArm dell’Europa pesa e peserà assai più delle bizzarrie legislative negli Stati Uniti e della retromarcia normativa europea (Omnibus). Quanto meno, la mossa di Allianz porterà allo scoperto un dibattito rimasto forse troppo a lungo velato e nascosto. Del resto, la cautela con cui il tema è stato affrontato ha delle ragioni profonde, di natura politica, economica e, niente affatto secondario, tecnica.
UNO SDOGANAMENTO PARZIALE
Che il tema sia scottante è chiaro dalla stessa lettera di Allianz. Una sorta di pubblica postulatio, in cui il gestore elenca una serie di giustificazioni per cui decide di compiere il passo: «Gli eventi geopolitici degli ultimi anni – scrive Allianz – hanno indotto un più ampio ripensamento della necessità di investire nell’architettura della difesa in Europa. In questo contesto, è urgente che le nazioni europee investano di più (e in modo più collaborativo) in un’industria della difesa moderna e resiliente. Un settore della difesa solido è necessario per fornire i mezzi per le politiche di sicurezza nazionali e regionali e per sostenere la stabilità economica e sociale».
Allianz poi ribadisce che «l’impegno per la sostenibilità rimane costante e l’investimento sostenibile continua ad essere una priorità strategica».
E, infine, arriva al punto: Allianz, si legge, «ha avviato lo scorso autunno una revisione dell’approccio di esclusione della difesa per i fondi sostenibili, prendendo in considerazione i requisiti normativi, le pratiche di mercato e la sua convinzione di sostenibilità. Ciò porterà all’eliminazione di due dei criteri di esclusione legati alla difesa per i fondi comuni di investimento della società classificati come articolo 8 ai sensi del Sfdr».
Ma non tutti i fondi articolo 8.
Non i fondi articolo 9.
E la cosa vale, come detto, per due specifiche categorie belliche: «Attrezzature e servizi militari: le attrezzature e i servizi militari – spiega la lettera – sono elementi integranti di un settore della difesa ben funzionante; Armi nucleari all’interno del The Non-Proliferation Treaty (Tnp): queste armi fungono da deterrente critico per i conflitti più importanti e le attività disciplinate all’interno del Tnp offrono importanti garanzie».
L’ASPETTO ECONOMICO
A spingere verso la revisione delle esclusioni, chiaramente, è anche l’aspetto economico. Che riguarda il sostegno al sistema (si vedano gli sforzi della DG Defis – Defence Industry and Space per rendere sostenibili gli investimenti nella Difesa). Bensì, è anche quello dei clienti del gestore e del gestore stesso. Questo è quanto riporta Reuters: «L’investitore aveva riconosciuto che le restrizioni erano troppo “onerose”, ha dichiarato Matt Christensen, responsabile globale di Allianz Global Investors per gli investimenti sostenibili e d’impatto, in un post sul blog pubblicato online. “Le armi nucleari sono un deterrente critico e credibile per i conflitti su larga scala e, nei Paesi occidentali, la produzione di armi nucleari è completamente integrata nell’industria e non può essere separata”, ha aggiunto Christensen».
L’ASPETTO POLITICO
Dal punto di vista politico, è chiaro come l’istituzione Europa sia divenuta qualcosa di più rispetto a ciò che era quattro anni fa (prima dell’escalation della crisi ucraina). O meglio, si comporti da qualcosa di più. Nel senso che l’Unione europea è stata, fino a oggi, una struttura che connetteva i Paesi con obiettivi primariamente economici. Con la possibilità di declinare questi obiettivi (come avvenuto nell’impegno verso la creazione di un sistema socio-economico-finanziario sostenibile), ma con voce assai più limitata in materia di politica estera comunitaria. Ancor più, se questa politica estera assumeva connotati bellici.
Le recenti evoluzioni geopolitiche sembrano, viceversa, aver allargato l’ambito decisionale di Bruxelles (e Strasburgo, sede del Parlamento), laddove, con ReArm Europe, per l’ampiezza degli obiettivi, l’Unione europea ha cambiato la direzione di sviluppo di un continente. È chiaro, infatti, che non si tratta unicamente di spostamenti di bilancio, per quanto enormi, ma di un ri-orientamento profondo della società stessa.
Quali aspetti può comportare questo spostamento di potere dagli Stati sovrani a un’entità che non era stata concepita (e, soprattutto, votata) per tale responsabilità?
La domanda, ovviamente, è aperta. Ma gli effetti dei contrasti tra l’identità tecnica europea e la sua attuale volontà politica iniziano a emergere. Nei mesi recenti le autorità (vedi Esma), gli organismi operativi (la Platform o l’Efrag), ma anche entità sovranazionali come la Bei, più volte hanno evidenziato la difficoltà di allineamento tra i due mondi in allontanamento. Basti pensare che l’attuale Platform è scaduta, e non si è ancora tracciato un calendario per sostituirla.
L’ASPETTO TECNICO
La stessa Allianz, pur avendo chiaro l’aspetto politico della sua scelta, ha dovuto fare i conti “tecnici” per rimanere dentro le casistiche regolamentari definite per i nomi dei prodotti. Il gestore tedesco cita le Q&A di Esma rilasciate a fine anno sulle Linee Guida sul naming dei fondi, in cui la Consob europea ha risposto alla domanda “How should the exclusions related to controversial weapons referred to in Commission Delegated Regulation (EU) 2020/1818 be interpreted for different types of controversial weapons?”.
Esma, di fatto, ha rimandato a ciò che prevede il Pai 14 del Sfdr, in merito alla trasparenza sull’esposizione ad armi controverse, indicandole come: mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi chimiche e armi biologiche. Non vengono menzionati: “attrezzature e servizi militari” né “armi nucleari”. Che sono, appunto, gli ambiti oggetto di “reintrego” da parte di Allianz: sembra sventato il rischio di vedersi precluse alcune fattispecie di categorie sostenibili.
Ma restano comunque i punti interrogativi tecnici. Come si combina la scelta di Allianz, per esempio, con le disposizioni di Banca d’Italia entrate in vigore lo scorso 10 febbraio? Tali disposizioni (vedi articolo Lo stop alle armi firmato da Bankitalia) prevedono il blocco per i finanziamenti “alle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo”. L’ambito sembra specifico. Ma si estende in modo ampio, nell’oggetto (coprendo ogni genere di azienda connessa o fornitrice, anche quelle di servizio) e nei soggetti (sono inclusi gli investimenti, anche mobiliari, e specificatamente gli investitori previdenziali).
LA SVOLTA CULTURALE TEDESCA ED EUROPEA
Le considerazioni tecnico-economiche sulla scelta di Allianz, tuttavia, sembrano poca cosa di fronte al cambiamento culturale in atto. Già a fine febbraio del 2022, pochi giorni dopo l’entrata in Ucraina delle forze russe, il cancelliere Olaf Scholz presentò la “svolta epocale” (“Zeitenwende”) al parlamento plaudente: un fondo di 100 miliardi per rinsanguare le Forze armate tedesche, disarmate alla fine della guerra fredda, e lo stanziamento di una somma annua pari almeno al 2% del pil per la Bundeswehr. Una riflessione della rivista Limes, già in quelle settimane, individuava quella “svolta epocale” come il vero momento di discontinuità storico attivato dalle operazioni russe in Ucraina.
Tre anni dopo quegli applausi si sono moltiplicati e amplificati nel resto d’Europa. L’idea “Deus nobiscum” sembra romanticamente aver conquistato animi e menti delle capitali e delle istituzioni europee. In un brevissimo lasso di tempo, l’equilibrio di valori costruiti in decenni di pace, si è ribaltato. E con questo nuovo equilibrio dovrà ora ri-misurarsi l’idea generale di sostenibilità e responsabilità del business. A cominciare, appunto, dalle armi, a lungo considerate una barriera non superabile per la finanza sostenibile e responsabile, e oggi considerate un fattore di “stabilità economica e sociale”.
È interessante leggere una involontaria testimonianza dello stesso Matt Christensen, attraverso una intervista rilasciata nel giugno 2023: «Sentirsi orgogliosi del proprio lavoro è ciò che attira molte persone verso l’impact investing, secondo Matt Christensen, che parla per esperienza. “I miei figli non capiscono necessariamente quello che faccio, ma capiscono quello che sto cercando di fare”, dice a ESG Clarity. “Quando fornisco esempi dimostrabili di investimenti, quello è il momento in cui è chiaro e penso: ecco perché faccio tutto questo”».
Insomma, il cambiamento sembra davvero profondo, se cambia l’idea di cosa ci chiederanno i nostri figli.
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