Quella che può sembrare una semplice tabella con percentuali scritte vicino a ogni Paese del mondo è in realtà una spada di Damocle per le aziende abituate a operare in un contesto fortemente globalizzato. Ecco dunque che il sogno di Donald Trump di evitare con i dazi che le aziende statunitensi vadano a produrre altrove si scontra con la sostenibilità economica del progetto stesso. Tale aspetto vale per tutti i settori, ma impatta maggiormente sulle aziende high-tech statunitensi, come la Apple, che benché di base negli Stati Uniti, sono abituate a realizzare i propri prodotti dove è economicamente più vantaggioso farlo. Il risultato, nel caso dell’azienda di Cupertino, è che l’aumento dei costi di produzione porterà l’iPhone a un prezzo decisamente poco accessibile per i consumatori.
iPhone, con i dazi prezzi alle stelle
Per comprendere l’impatto dei dazi di Trump sul settore high-tech statunitense si fa riferimento a un bene molto diffuso tra i consumatori, l’iPhone. Questo è un chiaro esempio di patchwork globale, ovvero un prodotto realizzato con componenti provenienti da diverse parti del mondo. Nello specifico si tratta di Cina, Vietnam e India, tutti Paesi fortemente colpiti dai dazi del Tycoon (rispettivamente il 54, il 46 e il 26%).
A tale aspetto va aggiunto che Apple ha propria nella Cina il proprio produttore principale, motivo per cui già da alcuni mesi ha iniziato a produrre anche i propri modelli pro (quelli più costosi) in India così da ridurre il peso dei dazi. Resta, comunque, lo scotto di vedere il proprio margine di profitto ridotto (sempre alto va precisato) per colpa dei maggiori costi di produzione.
Quanto costa produrre un iPhone, prima e dopo i dazi
L’impatto reale dei dazi di Trump si vede nei numeri. Come evidenziato dal Wall Street Journal con le informazioni fornite da iFixit e TechInsights, un iPhone16 Pro da 256 GB oggi viene venduto negli Stati Uniti a 1.100 dollari. L’intero hardware interno, ai tempi dell’introduzione del modello (settembre 2024), era di 550 dollari che, con i costi di assemblaggio e test, saliva a un totale di 580 dollari. Entrando nel dettaglio dei componenti, il più costoso è la fotocamera posteriore (126,95 dollari), seguito dal chipset A18 Pro (90,85 dollari), il display (37,97 dollari) e lo storage da 256 GB (20,59 dollari).
Con i nuovi dazi imposti da Trump alla Cina (54%), il costo totale di produzione di questo iPhone sale di circa 300 dollari e arriva a 850 dollari, con il margine di profitto di Apple che ne risentirebbe se non venisse aumentato il prezzo per i consumatori. Ipotesi questa non certo da escludere.
Come potrebbe reagire Apple
Nel mentre in cui i portavoce di Apple si rifiutano di commentare i piani tariffari dell’azienda e i dettagli di produzione, l’azienda prova a reimpostare la propria catena produttiva per non ridurre eccessivamente il proprio margine di profitto sugli iPhone.
Il primo passo, come detto, è stato già compiuto, con l’azienda di Cupertino che ha avviato la produzione dei propri modelli pro anche in India, dove la tasse sulle esportazioni verso gli Stati Uniti sono più basse rispetto a quelle cinesi (26%). Anche con questa nuova impostazione, tuttavia, l’aumento dei costi resta alto, con il risultato finale che non potrà non essere una crescita del prezzo bene per i consumatori.
Stando alle stime degli analisti dell’istituto finanziario newyorkese Rosenblatt Securities, l’iPhone 16 Pro Max da 1 TB arriverà a costare 2.300 dollari (2.100 euro) negli Stati Uniti (+43% dai 1.600 attuali) e, in Italia, 2.500 euro(462 di Iva). Crescita anche per il modello base, che passerebbe da 799 dollari a 1.142 dollari (1042,80 euro). Più ottimista J.P Morgan, seconda la quale il ritocco verso l’alto dei prezzi sarà di circa il 6%, che in Italia vorrebbe dire “solo” dai 30 ai 50 euro in più a seconda dei modelli di iPhone.
Assemblare negli Usa, un’ipotesi non considerabile
Ci sarebbe infine un’altra via, quella sperata da Trump probabilmente, ovvero che l’intero processo di assemblaggio degli iPhone venga trasferito negli Stati Uniti. Si tratta di un’opzione non certo economica, visto soprattutto il differente costo del lavoro, con anche i tempi di realizzazione del piano che richiederebbero anni. Il risultato finale per i consumatori, inoltre, potrebbe essere ancora più gravoso, secondo il parere di Barton Crockett, analista di ricerca senior presso la società di brokeraggio Rosenblatt Securities.
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