In un contesto economico sempre più complesso e in trasformazione, la mitigazione del rischio diventa quanto mai strategica, e l’incontro organizzato in Camera di Commercio sulla Legge 231 va in questa direzione. Ossia, far comprendere agli imprenditori che l’adozione del modello non costituisce un mero impegno burocratico, ma piuttosto una opportunità. Di tutela come di crescita.
Il convegno, voluto dall’istituto camerale in accordo con l’Ateneo cittadino e gli uffici giudiziari del distretto di Brescia, in collaborazione con il comando provinciale della Guardia di Finanza, mette sotto la lente di ingrandimento il decreto legislativo 231 del 2001, che introduce un sistema di responsabilità per gli enti di personalità giuridica, per le società e le associazioni anche prive di tale personalità giuridica (ma non per le pubbliche amministrazioni), in relazione ad alcuni reati commessi (ad esempio ambientali, in materia si salute e sicurezza sul lavoro, informatici, di riciclaggio), nel loro interesse o vantaggio, da persone che ricoprono ruoli apicali o dai loro sottoposti.
Il punto
Nonostante siano passati quasi 25 anni dalla sua emanazione, tuttavia, la 231 è ancora poco conosciuta, e talvolta considerata un semplice aggravio di burocrazia. Cosa che, dicono con forza i relatori, non è. Anzi.
Se già il segretario generale della Camera di Commercio bresciana, Massimo Ziletti, apre i lavori precisando che il decreto legge è «un modello organizzativo da intendersi non come mero adempimento ma come grande opportunità», la presidente della Corte d’Appello di Brescia, Giovanna Di Rosa, indugia sull’importanza di tornare a parlarne con più convinzione in un momento in cui «è cambiato il modo di pensare alle aziende, parlando non solo di profitto ma di etica, responsabilità e sostenibilità, in una logica che chiama in causa sempre più il bene comune» ed il prefetto, Andrea Polichetti, ne sottolinea addirittura il valore come «strumento anche ai fini preventivi antimafia». Tutti elementi che emergono con forza nelle successive tavole rotonde moderate dal giornalista de IlSole24Ore, Giovanni Negri, che chiama sul palco esperti e tecnici a diverso titolo coinvolti nel percorso, oltre ad un paio di imprenditori che lo hanno adottato.
«La 231 che è in primis un sistema preventivo, che tende a tutelare l’impresa dal rischio di illeciti che possono essere commessi da figure apicali o dipendenti», tira corto il comandante regionale della Gdf, Paolo Compagnone, mentre Raffaello Carnà, dell’Odcec di Milano, che lo definisce «quasi uno stato d’animo», si concentra sulle ricadute del modello in termini di competitività e l’avvocato Pasquale Fimiani della procura generale della corte di Cassazione sulla «responsabilità di rimbalzo» dell’azienda per effetto di un deficit organizzativo.
Imprenditori
Gli interventi più indicativi del valore dell’adozione del modello 231 restano quelli degli imprenditori coinvolti da Confindustia e Confapi. Michele Lancellotti, Ceo della società benefit Imbal Carton (che lo ha adottato da un paio di mesi) dichiara di aver intrapreso l’iter «anche per togliere un po’ di emotività ed estemporaneità alle decisioni aziendali, oltre che per facilitare l’ingresso di esterni nel capitale», mentre il collega Renato Benaglia, Ceo di Alcass, non ha dubbi: non solo è uno strumento «indispensabile» per rendere i meccanismi di gestione aziendale sempre più trasparenti, ma è anche in grado di rendere la società più attrattiva.
Tra i relatori anche Hervè Belluta dell’Università di Brescia, l’avvocato Alessandro Donati dello studio Gorio-Minervini-Donati ed il procuratore generale della Corte d’Appello di Brescia Guido Rispoli.
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