Intervista a Mario Giro: il Piano Mattei nel 2025



Il Centro Studi Geopolitica.info ha intervistato l’On. Mario Giro, Sottosegretario agli Affari Esteri (2013-2018) e Vice Ministro degli Affari Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale (2016-2018), sull’andamento del Piano Mattei, in occasione della recente uscita del libro a sua cura “Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa” (Guerini e Associati, 2024). Membro della Comunità di Sant’Egidio dal 1975, ha preso parte a numerose iniziative di pace in Africa, un teatro geopolitico sempre più importante per l’Italia. 

  1. LItalia ha confermato il proprio sostegno per la costruzione delle infrastrutture del Corridoio di Lobito, approvando uno stanziamento massimo di 320 milioni di euro, che si aggiunge agli ingenti aiuti americani durante lamministrazione Biden. Tale annuncio è stato fatto durante il vertice del G7 del giugno 2024, e rientra nel Piano Mattei, parte integrante del Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII) e del programma Global Gateway dellUnione Europea, che mira a mobilitare fino a 300 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati tra il 2021 e il 2027. Quali sono i vantaggi che lItalia può trarre da questi investimenti, e in che modo la strategia americana per competere con la Cina sta proseguendo dallinizio della seconda amministrazione Trump? 

Lo scorso 27 marzo si è tenuta a Roma una riunione sul corridoio di Lobito, organizzata dalla struttura di missione del Piano Mattei in collaborazione con il Global Gateway dell’Unione Europea, alla quale hanno partecipato grandi imprenditori italiani – come We Biuld-Salini, Ghella o Eni – con esponenti del mondo africano, fra cui i ministri di Zambia, Tanzania e Angola e il capo di gabinetto del Primo ministro della Repubblica Democratica del Congo. Tale evento è la prova di un grande interesse nei confronti del Piano Mattei, di cui il corridoio di Lobito è il primo di uno dei grandi programmi di infrastrutture in Africa portati avanti assieme al Global Gateway. 

Tra i vantaggi vi è quello politico anzitutto, poiché Lobito non è solo corridoio ferroviario ma è un’infrastruttura pesante attraverso la quale passerà di tutto, dalla comunicazione alle strutture energetiche. L’Italia rientra in tale progetto come un grande investitore. L’interrogativo che ci si pone è se sarà possibile – tagliando l’Africa a metà per larghezza – collegare il corridoio alla vecchia e malfunzionante, ferrovia Tazara, costruita dai cinesi negli anni ‘60, che arriva fino alle coste tanzane. 

La riuscita di tale infrastruttura porterebbe a collegare l’Asia all’Atlantico, comportando quindi un grande passaggio di merci che favorirebbe molti Paesi. L’Italia nutre un forte interesse poiché le proprie imprese rientrerebbero in questa grande operazione. 

Un’incertezza ancora presente è l’azione del Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), una struttura a direzione americana: su di essa l’amministrazione Trump non ha ancora confermato nulla. Il cambio dei rappresentanti attuali è l’unica certezza. L’impegno americano si concentrerà nel continuare a contrastare la presenza cinese ma non essendo stato designato l’assistant secretary per l’Africa, ad oggi non è possibile sapere in che modo e con quali strumenti si comporteranno gli Stati Uniti nel continente. 

  1. Nellultimo decennio, la politica estera italiana verso lAfrica ha subito un cambiamento sostanziale oppure si è trattato di un semplice mutamento di approccio rispetto alle linee guida già delineate nel periodo successivo alla Guerra Fredda? In che misura il recente Piano Mattei per lAfrica, annunciato nel 2024, rappresenta una discontinuità rispetto alle strategie precedenti e quali sono gli elementi di continuità con le politiche adottate in passato? Quali sono, inoltre, gli obiettivi principali della politica italiana nel continente, con particolare riferimento alla cooperazione energetica, allo sviluppo infrastrutturale e alla stabilizzazione politica? Infine, in che modo tali iniziative si inseriscono nel più ampio contesto geopolitico internazionale, anche in relazione alla crescente influenza di attori globali come Cina e Russia?  

Innanzitutto occorre evidenziare che ci sono delle continuità poiché l’interesse italiano per l’Africa ha una valenza storica, che risale agli anni Sessanta, in particolare in materia di cooperazione. Tuttavia, si è assistito ad un’interruzione o, per meglio dire, ad un ridimensionamento nel corso degli anni Ottanta e poi una ripresa verso la fine del secolo. La principale continuità è legata all’idea di una cooperazione con l’Africa legata alla questione migratoria. Tuttavia si sviluppa un mutamento di approccio che potrebbe diventare sostanziale e dare un impulso maggiore ad una nuova politica africana dell’Italia a tutto tondo. Il Piano Mattei concentra i protagonisti attorno ad un unico tavolo: ministeri, grandi aziende, ong, Banca d’Italia ecc. Tutti i soggetti che si occupano di Africa a vario titolo sono presenti e in qualche modo questa focalizzazione crea un forte impulso politico. Il Piano è un processo dinamico che può andare oltre le intenzioni iniziali, legate solo alla questione migratoria. Il tentativo di rispondere alla crisi migratoria degli anni 2013-2018 è sempre presente ma si è affiancato a quello di ascoltare le volontà degli africani. Il Piano Mattei si sta inserendo in una dimensione più vasta, come l’ha definita la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni un “partenariato non predatorio”, tenendo conto che anche in  Africa il quadro è profondamente mutato. L’espulsione dei francesi e il conseguente sconvolgimento politico hanno fatto emergere un’Africa che tende a fare da sé, che vuole piena autonomia e indipendenza, re che sceglie a chi rivolgersi: attori globali come la Cina e la Russia, ma anche altri come la Turchia, l’Arabia Saudita ad esempio. In questo contesto l’Italia può trovare un suo spazio. 

Gli obiettivi principali sono molteplici. In materia di cooperazione energetica ci si pongono alcune sfide data la difficoltà nel distribuire l’energia in un territorio enorme come quello africano: la distribuzione attraverso cavi ad alta tensione provocherebbe troppa dispersione e vanno trovati altri metodi. Come detto in riferimento al Corridoio di Lobito, lo sviluppo infrastrutturale è un punto importante; poi c’è l’agribusiness e il turismo. Il nodo cruciale è costituito dalla stabilizzazione politica: la buona riuscita del Piano Mattei dipende anche dalla capacità di gestire i fattori di instabilità. Per ora i paesi coinvolti sono quelli in cui ovviamente non c’è guerra, ma sappiamo quanto sia facile il contagio dell’instabilità. Per quanto concerne gli attori globali, la Cina si trova in un momento di riflessione sugli interessi africani, poiché non riesce a riottenere i prestiti concessi, dunque siamo in fase di raffreddamento. Dal canto suo la Russia si fa spazio con le armi, in particolare quelle leggere, che può distribuire con facilità anche se ha dei mezzi finanziari limitati. La Turchia ha il vettore aereo più diffuso nel continente e sostiene con buoni risultati il proprio settore privato. 

  1. Per le relazioni tra Italia e Etiopia, di particolare importanza è stata nel gennaio 2025 liniziativa del ministero dellUniversità e della Ricerca (Mur) in collaborazione con la Med-Or Italian Foundation presso la capitale Addis Abeba: a tale incontro hanno partecipato il Ministro del MUR Anna Maria Bernini, lAmbasciatore dItalia in Etiopia Agostino Palese, e Massimo Khairallah, responsabile delle Relazioni Internazionali della Med-Or Italian Foundation, con rappresentanti di aziende italiane di spicco come Future Farming Initiative, Bonifiche Ferraresi, E4Impact e Leonardo, con una delegazione di stakeholder etiopi provenienti dal mondo delle imprese, delle università e delle istituzioni. Tali rapporti, che si sono rafforzati molto nel settore della ricerca, della formazione e dellinnovazione, potrebbero avere un ulteriore incremento nel settore della difesa etiope, ponendo le basi per un futuro aiuto nel contrasto a possibili minacce Houthi sul Mar Rosso? 

La situazione interna etiopica non permette di immaginare con facilità una collaborazione di tale tipo a causa del momento difficile che l’Etiopia sta vivendo. Forze centrifughe rischiano di dividere il paese e connettere la sua crisi interna con altre. Qualcuno teme che in Africa orientale possa ricominciare la guerra fra Etiopia ed Eritrea e saldarsi con quella in atto in Sudan. Questa volta però Addis si troverebbe contro anche le milizie amhara mentre parte dei tigrini la appoggerebbero. Sarebbe un conflitto molto intricato che aggraverebbe la crisi umanitaria regionale. È difficile considerare oggi l’Etiopia un partner strategico-militare: l’obiettivo primario dell’Italia dovrebbe piuttosto essere quello di impegnarsi ad evitare ulteriori frammentazioni del Paese. 

  1. In riferimento al conflitto tra Etiopia e Somalia, causato dallappoggio del primo alla regione autoproclamata indipendente Somaliland, il ruolo di mediatore che Erdogan ha cercato di ricoprire tra i due Paesi – negli ultimi mesi del 2024 – potrebbe comportare una minaccia per gli interessi italiani nellarea del Corno dAfrica, avendo anche come effetto un aumento del c.d. Ankara Consensus”? E se sì, cosa può fare lItalia al riguardo, tenendo presente che la Turchia è un membro NATO, e soprattutto che è una nazione candidata nelladesione allUnione Europea? 

L’Italia ha tutto l’interesse a intavolare un dialogo politico e ad instaurare una forma di collaborazione con la Turchia, in particolare nel Corno d’Africa, nel Mediterraneo orientale, nei Balcani e in Libia. Pertanto non vedo l’Italia e la Turchia su posizioni competitive, bensì cooperative. Probabilmente siamo l’unico paese europeo ad avere delle buone relazioni con Ankara. Siamo consapevoli dei limiti del sistema politico turco e dei difetti della democrazia turca. Tuttavia è molto importante osservare la capacità strategica di Erdogan, che ha posizionato il suo paese su vari fronti: dall’ex Sahara spagnolo ai Balcani, dal Caucaso al Mar Rosso e scendendo sulle coste africane fino al nord del Mozambico. Nella crisi somala ci può essere un accordo con la Turchia anche perché l’Italia mantiene una posizione privilegiata. E lo stesso si potrebbe dire per la Libia dove siamo entrambi difensori del governo di Tripoli. Ritornando alla Somalia c’è stata la diatriba dello sbocco al mare per Addisn Abeba che però presenta molteplici difficoltà. In Somalia sono persistenti le tensioni interne e nemmeno il Somaliland è un’entità totalmente unitaria. Occorre tenere presente la capacità di frammentazione indotta dalla globalizzazione che ha disperso il potere invece di concentrarlo. Ritengo che la riunificazione della federazione somala debba essere perseguito collaborando con la Turchia, anche in virtù del suo status di membro della NATO e dalla sua candidatura all’adesione dell’Unione Europea.





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