«Il governo si muova con l’Ue»


La premier promette anche 7 miliardi per ridurre il costo dell’energia e una deroga per gli aiuti di Stato, oltre alla modifica del Pnrr. A Trump proporrà un accordo ««zero per zero»: azzerare i reciproci dazi sui prodotti industriali esistenti. Il silenzio di Confindustria

Dagli incontri tra i rappresentanti delle categorie produttive e il governo emergono due storie diverse. Sul lato di palazzo Chigi i toni sono trionfali, con la promessa di «25 miliardi di euro per sostenere le imprese in difficoltà, di cui 14 da fondi del Pnrr e 11 dai fondi di coesione», sono le parole di Giorgia Meloni, che ha spiegato come sia l’Ue a incoraggiare modifiche al Pnrr.

Quanto ai fondi di coesione, «possono essere riprogrammati a favore delle imprese, dei lavoratori e dei settori che dovessero essere più colpiti, sempre d’intesa con la Commissione europea». Non solo: vengono annunciati anche una negoziazione «per un regime transitorio sugli aiuti di Stato» e «7 miliardi del fondo sociale clima peer ridurre i costi dell’energia». Inoltre, la premier ha sottolineato la necessità di raggiungere nuovi mercati stranieri e di rafforzare la presenza delle imprese italiane anche a livello di mercato interno.

Insomma, alla faccia nel fatto che non servissero contromisure ai dazi, il governo sembra avere in mente un piano massiccio di interventi per difendere l’export delle imprese italiane, offrendo loro «un nuovo patto per fare fronte comune», oltre che nuove iniziative per traghettarle anche oltre il mercato statunitense.

Eppure, dell’enfasi di questi annunci poco si riverbera nelle reazioni delle categorie economiche (da Confindustria alle piccole e medie imprese fino alle associazioni dell’agroalimentare) che hanno sfilato a palazzo Chigi davanti alla delegazione composta dalla premier, i due vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini videocollegato, oltre ai ministri competenti Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso, Tommaso Foti e Francesco Lollobrigida. A completare la delegazione, i fidati sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.

La freddezza delle categorie

Secondo fonti interne delle categorie, infatti, i colloqui sarebbero stati una rapida carrellata di interventi – dieci minuti per ogni sigla, in cui ognuno ha elencato le sue preoccupazioni e i suoi desiderata – dopo i quali però Meloni non si sarebbe sbilanciata in modo particolare. Non a caso, al termine, nessuno degli invitati si è speso in dichiarazioni specifiche di convergenza con il governo. Barometro importante: Confindustria ha scelto il silenzio.

A confermare le preoccupazioni, Confartigianato Imprese ha addirittura parlato di «rischio di una pandemia economica» e ha chiesto l’intervento coeso e immediato dell’Ue, con una revisione del Patto di stabilità, la riprogrammazione del Pnrr e la rimodulazione del Green deal. Una lista di interventi asciutta, ma senza riferimenti al governo e soprattutto l’allarme per i danni economici: le nuove tariffe potrebbero far calare di 11 miliardi l’export, con la perdita totale di 46mila occupati tra grandi e piccole imprese.

Di «azione forte e coesa a livello europeo» ha parlato anche Confagricoltura, e la Cia-Agricoltori italiani ha sottolineato la necessità di «negoziare fino alla fine con una sola voce in Europa per scongiurare una guerra commerciale». Sulla stessa linea anche Confesercenti: «Dalla burrasca si esce facendo fronte comune con gli altri Paesi dell’Ue».

Nonostante gli appelli alla calma di Meloni ripetuti anche martedì («difficile valutare le conseguenze effettive sul nostro Pil, ma l’allarmismo che si sta generando rischiano di fare molti più danni della misura in sé») e il rimbalzo delle borse con piazza Affari che ha chiuso con un più 2,4 per cento, le categorie economiche dunque hanno espresso in particolare il timore per una risposta non unitaria da parte europea. Un segnale importante, anche in vista dell’altro annuncio di giornata: il 17 aprile Meloni sarà a Washington per incontrare Donald Trump e discutere della situazione economica, all’indomani delle contromisure europee calendarizzate per il 15 aprile.

Alla Casa Bianca, la premier porterà la formula «zero per zero»: ovvero la richiesta di azzerare i reciproci dazi sui prodotti industriali esistenti, su cui convergerebbero anche i vertici europei e che «l’Italia è stata tra le prime nazioni a promuovere». La strada di Meloni, però, rischia di biforcarsi: da un lato la risposta unitaria dell’Ue, dall’altro l’annuncio del tycoon di voler contrattare «accordi su misura con ciascun paese», in una logica da dividi et impera.

La mossa della Lega

Per una Meloni che tesse, c’è un Salvini che ormai sembra deciso a sparigliare le carte. Proprio nella giornata dei colloqui, infatti, la Lega ha annunciato la sua ricetta per affrontare il problema dazi, con una mozione «per sostenere il governo in un negoziato volto a rivedere radicalmente quei provvedimenti dell’Unione europea che costituiscono un autentico dazio interno», che verrà presentata a tutti i livelli rappresentativi.

Il testo chiede la «ridefinizione degli obblighi» del Green deal e del Patto di stabilità e l’«opposizione» al piano di Rearm Eu. Non esattamente la linea del governo, soprattutto nell’ultimo passaggio che vede almeno Forza Italia decisamente a favore del piano. Non a caso la nota leghista parla necessità di una «riflessione con gli alleati per arrivare a una sintesi comune» che evidentemente in questo momento manca.

La mossa di Salvini, che pure è stata oscurata dagli annunci di Meloni post-incontri, è tuttavia la dimostrazione di come il dibattito interno al governo sia tutt’altro che sereno e mostra come il segretario intenda riguadagnare il posto di pungolo dell’esecutivo.

Anche i toni belligeranti non fanno il paio con quelli più dialoganti di Meloni, che anche su spinta di Tajani sa di non poter fare a meno del sostegno di Bruxelles e di Ursula von der Leyen.

Intanto, le opposizioni hanno chiesto che la presidente del Consiglio si presenti in parlamento per relazionare sulla strategia economica del governo prima di sbarcare a Washington. Una richiesta a cui, paradossalmente, si associa anche la mozione leghista che chiede di «riferire periodicamente al parlamento e alla Conferenza Stato-Regioni sugli sviluppi delle azioni intraprese». Un segnale anche questo di una Lega sempre più di lotta che di governo.

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