il “saldo e stralcio” dei contributi genera un buco da 6,6 miliardi


Il Consiglio di indirizzo e vigilanza calcola le risorse che lo Stato dovrà reperire per i mancati contributi delle aziende. Ai crediti eliminati dovrà fare fronte lo Stato, perché se un datore di lavoro non versa i contributi dovuti, il lavoratore dipendente non perde il diritto alla pensione, e l’Inps è obbligato a coprire tali somme. Così lo Stato dovrà reperire quelle risorse dalla fiscalità generale

Una bella sfida finanziaria attende l’Inps. Secondo il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’istituto, lo Stato dovrà reperire nei prossimi anni 6,6 miliardi attraverso la fiscalità generale per coprire le ricadute dello stralcio di crediti contributivi relativi al periodo fino al 2015. Una cifra che, pur non mettendo a rischio immediato i conti dell’Istituto, solleva interrogativi sulla sostenibilità di lungo termine del sistema previdenziale e sull’equità delle scelte politiche adottate negli ultimi anni.

Un’eredità pesante

La vicenda prende le mosse da una serie di provvedimenti legislativi noti come “saldo e stralcio”, molto voluti dalla Lega di Salvini e introdotti tra il 2018 e il 2022 con la Lega al governo, che hanno portato alla cancellazione di crediti contributivi per un totale di 16,4 miliardi di euro. Si tratta di somme dovute dalle aziende all’Inps, ma mai versate, spesso a causa di fallimenti, insolvenze o difficoltà finanziarie. Nel solo 2024, l’eliminazione di questi crediti ha generato un impatto contabile di 13,7 miliardi sul rendiconto generale dell’Istituto, una cifra che è stata parzialmente assorbita dal Fondo di svalutazione dei crediti. Tuttavia, il Civ sottolinea che il vero problema non è l’impatto immediato, bensì quello futuro: i 6,6 miliardi di euro necessari per garantire le prestazioni pensionistiche ai lavoratori dipendenti, i cui contributi non pagati continuano a essere conteggiati ai fini del calcolo delle pensioni.

Questa peculiarità deriva dal principio di automaticità delle prestazioni previsto dal sistema previdenziale italiano. In sostanza, anche se un datore di lavoro non versa i contributi dovuti, il lavoratore dipendente non perde il diritto alla pensione, e l’Inps è obbligato a coprire tali somme. Una garanzia sacrosanta per i lavoratori, ma che si traduce in un onere significativo per le casse pubbliche, soprattutto quando i crediti vengono stralciati senza un’adeguata copertura finanziaria.

Un sistema sotto pressione

Il Civ dell’Inps, nella sua delibera, ha messo in guardia sull’urgenza di interventi compensativi. «È necessario coprire gli oneri aggiuntivi che l’Istituto dovrà sostenere nei prossimi anni per effetto di questo stralcio, dovendo comunque garantire le prestazioni previdenziali ai lavoratori anche a fronte di un mancato versamento della contribuzione», si legge nel documento.

Una richiesta che si traduce in una pressione diretta sul governo, chiamato a individuare risorse senza gravare ulteriormente sui contribuenti o compromettere altri capitoli di spesa pubblica. Per comprendere appieno la situazione, è utile ripercorrere le tappe che hanno portato a questa impasse.

Tra il 2018 e il 2022, i governi italiani (Conte I, Draghi e Meloni) hanno adottato tre misure di “saldo e stralcio” che hanno permesso la cancellazione di debiti contributivi considerati inesigibili. L’obiettivo era duplice: alleggerire il carico amministrativo dell’Inps, spesso costretto a inseguire crediti difficilmente recuperabili, e offrire una sorta di “pace fiscale” alle imprese in difficoltà. Tuttavia, queste scelte hanno avuto conseguenze di lungo periodo, soprattutto per i lavoratori dipendenti, il cui montante contributivo include anche i contributi non versati.

Rispetto agli anni precedenti, l’entità degli stralci è cresciuta in modo significativo. Nel 2022, ad esempio, l’importo cancellato era pari a zero, mentre nel 2023 si attestava a 2,8 miliardi di euro. Il balzo a 16,4 miliardi nel 2024 segna un cambio di passo, ma anche un aggravio per il sistema previdenziale. Come evidenziato dal Civ, «la cancellazione dei crediti non influisce sui lavoratori autonomi, che non hanno diritto a prestazioni in caso di mancato versamento, ma rappresenta un problema per i dipendenti, per i quali l’Inps deve garantire le prestazioni».

La necessità di reperire 6,6 miliardi di euro attraverso la fiscalità generale apre un dibattito politico di primaria importanza. Da un lato, c’è chi sostiene che lo stralcio dei crediti fosse inevitabile, considerata l’inesigibilità di molte somme dovute da aziende fallite o in crisi. Dall’altro, si levano critiche verso un approccio che, di fatto, scarica sui contribuenti il costo di misure percepite come condoni. Non a caso, alcune forze politiche hanno già puntato il dito contro le scelte dei governi passati, accusandole di aver privilegiato soluzioni di breve termine a scapito della solidità del sistema previdenziale. La vicenda dei crediti contributivi stralciati rappresenta un monito per il futuro e solleva domande sull’equità delle scelte politiche, sulla sostenibilità dei conti pubblici e sulla capacità di guardare al futuro senza scaricare i costi sulle generazioni a venire.

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link