(Intervista di Ilaria Donatio pubblicata su L’Economista, inserto de Il Riformista)
L’Automotive Action Plan, annunciato dalla presidente Von Der Leyen, al momento rappresenta solo una raccolta di buone intenzioni. Su questo, l’attivismo dell’Italia potrebbe essere molto utile, per passare dalle parole ai fatti sui fondi Ue. Anche considerando il fatto che la pausa di 90 giorni dei dazi reciproci escluderebbe, secondo il segretario al Commercio Usa Howard Lutnick, acciaio, alluminio e auto. Ne abbiamo parlato con il presidente dell’associazione della filiera e-mobility Motus-E, Fabio Pressi.
A suo tempo Bruxelles ha inserito le politiche industriali per l’automotive all’interno del più ampio contenitore del Green Deal, restituendo un’immagine distorta di quello che sta facendo l’industria e della ratio dell’elettrificazione dei trasporti. Proviamo a chiarire quello che appare come un equivoco di fondo?
«Sì, c’è stato un errore di comunicazione colossale. La questione, infatti, non è “solo” ambientale, è prima di tutto un tema di competitività industriale e di evoluzione tecnologica. I dati di mercato e i piani dei costruttori dicono chiaramente che il mondo va verso la mobilità elettrica e la digitalizzazione dei veicoli. Per restare competitiva l’Europa deve accelerare su queste tecnologie, altrimenti rischia di fare la fine di Kodak o Blackberry. La storia la conosciamo tutti…».
Cosa fare quindi?
«La nostra filiera automotive è dimensionata per esportare in tutto il mondo; perciò, la politica industriale va calibrata osservando con attenzione anche quello che accade fuori dai nostri confini. Nel primo bimestre di quest’anno, le vendite di auto ricaricabili – full electric o plug-in – sono cresciute nel mondo del 33%, con una quota di mercato del 21%. Di fronte a questi trend, se vogliamo mantenere la nostra leadership non possiamo perdere la partita dell’innovazione. Dobbiamo superare le contrapposizioni ideologiche e accompagnare le nostre aziende lungo questa transizione tecnologica epocale, per esserne protagonisti».
E i dazi?
«L’escalation protezionistica americana impone all’Europa una risposta ferma ma intelligente, saldamente ancorata ai principi di un’economia liberale e competitiva. Dobbiamo stare molto attenti alle sirene del protezionismo di ritorno e non possiamo pensare di penalizzare aziende che hanno già investito miliardi per seguire le traiettorie indicate dall’Unione per preservare la competitività di lungo termine dell’industria. Un dietrofront sulle politiche strategiche per l’automotive, solo per rincorrere l’effetto immediato dei dazi, rappresenterebbe un triplice errore: non risolverebbe i problemi di accesso al mercato Usa, punirebbe le imprese più attente all’innovazione e frenerebbe lo sviluppo dei prodotti richiesti da mercati che dobbiamo aggredire. Un approccio simile finirebbe anche per scoraggiare gli investimenti in Europa, non solo nell’automotive: chi deve investire cerca un contesto stabile e prevedibile».
Come rispondere dunque, quando sarà avviata la fase della negoziazione?
«L’Europa può e deve rispondere senza stravolgere il mercato e senza minare la fiducia imprenditoriale. In senso generale, la strada dovrebbe essere quella di rafforzare le condizioni sistemiche di competitività, intervenendo su alcuni vincoli che frenano la capacità di reazione delle imprese europee. Come? Rivedendo il Patto di Stabilità e Crescita, modernizzando le regole sugli aiuti di Stato e accelerando la realizzazione di infrastrutture energetiche, digitali e logistiche comuni. Questa sarebbe una risposta liberale e coerente con il progetto europeo. La forza di un’economia di mercato non sta nella difesa a breve termine, ma nella capacità di offrire alle imprese un ambiente prevedibile e stabile».
E per l’automotive?
«Per il settore l’imperativo è dare corpo in tempi rapidi all’Automotive Action Plan e su questo, l’Italia potrebbe dare una scossa alla Commissione sui fondi Ue per industria dei componenti e batterie, supporto alla domanda – specie sulle flotte aziendali di auto e veicoli commerciali – e sostegno alla rete di ricarica nelle cosiddette aree a fallimento di mercato. Nei periodi di emergenza, in una gara di competitività, è necessario a nostro avviso adottare razionalmente una pluralità di scelte tecnologiche, evolvendo il concetto di neutralità tecnologica, corretto in linea di principio, ma non applicabile in un contesto con risorse limitate e che richiede la massima rapidità di azione. La forza della nostra industria è sempre stata quella di essere un passo avanti. Non possiamo perdere il treno dell’innovazione».
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