La presentazione del rapporto “Elementi per un’Italia 100% rinnovabile”
Il 40 per cento delle importazioni di uranio arricchito dell’Ue continua a provenire dalla Russia; se i servizi della società russa Rosatom venissero interrotti, molti impianti nucleari europei potrebbero causare gravi perdite finanziarie, oltre a interrompere la fornitura di energia elettrica. Questo è quanto emerge dal convegno organizzato a Roma dal Network 100% Rinnovabili, di cui fanno parte Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Wwf e decine di Università e Centri di ricerca, rappresentanti del mondo delle imprese, del sindacato e del terzo settore. La filiera green, che critica duramente la scelta del governo di procedere con il Ddl sul ritorno al nucleare approvato a inizio marzo, torna così a ribadire a gran voce che decarbonizzare l’elettricità con fonti rinnovabili è possibile, più ecologico e conveniente.
Questa mattina a Roma l’evento di presentazione del nuovo studio sulle fonti energetiche organizzato dalla coalizione di Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Wwf, università e centri di ricerca ha scoraggiato il nucleare e spinto verso le fonti green. Il nostro Paese si renderebbe ancora più dipendente dalla Russia, accanto alla Germania che sta dismettendo tutte le centrali
Secondo quanto si legge nel Rapporto “Elementi per un’Italia 100% rinnovabile” presentato in occasione del convegno «la società russa Rosatom è al momento in Europa l’unico fornitore economicamente sostenibile di uranio ad alto dosaggio e a basso arricchimento. Finora gli Stati Uniti hanno fatto affidamento su Rosatom e sulle catene di approvvigionamento controllate dalla Russia per quasi la metà della loro fornitura di uranio e solo lo scorso maggio il presidente Biden ha firmato il Prohibiting russian uranium imports act, con cui sono stati stanziati 2,72 miliardi di dollari per finanziare una nuova capacità di arricchimento nel Paese a stelle e strisce». Rendendo di fatto autonomi gli Usa dalla Russia.
La chiusura delle centrali in Europa
E il nostro Paese? «L’Italia non dispone né di uranio né di impianti di arricchimento e produzione del combustibile nucleare, che è costoso e andrebbe importato, probabilmente dalla Russia. I costi molto elevati e i tempi di costruzione del nucleare sono inoltre lunghissimi, come dimostrano le esperienze di Flamanville in Francia, Olkiluoto in Finlandia e Hinkley Point in Gran Bretagna, mentre le centrali nucleari a fissione dell’uranio generano isotopi altamente radioattivi, con tempi di dimezzamento della radioattività che, per il plutonio, arrivano a 24 mila anni, generano quindi combustibile esaurito, scorie e rifiuti nucleari pericolosi, difficili e costosi da gestire». Per Stefano Ciafani, Ingegnere ambientale e presidente nazionale di Legambiente, «la tecnologia nucleare è in declino, la Germania ha chiuso tre reattori nucleari, procede nello spegnere le ultime centrali a carbone e a gas rimaste, e continua a investire sulle rinnovabili. Se lo fa la Germania perche non lo facciamo anche noi?», si chiede.
Il calcolo delle differenze
Per farlo e promuovere una decarbonizzazione veloce e a basso costo – si legge ancora nel rapporto – occorre puntare su un forte sviluppo del solare e dell’eolico, integrati fra loro in modo da utilizzare in sinergia la diversa produzione stagionale. L’Aie (Agenzia internazionale dell’Energia) prevede una differenza di 100 dollari al megawattora tra nucleare e solare fotovoltaico per il 2030. Una differenza importante che si nota anche per l’eolico onshore, pari a 80 dollari al megawattora per il 2030 e per l’eolico offshore, pari a 90 dollari al megawattora , sempre per il 2030. Numeri significativi che valgono, con lievi differenze, anche per il nucleare realizzato negli Stati Uniti, in Cina o in India rispetto alle fonti rinnovabili lì disponibili.
Le altre fonti
Il Rapporto “Elementi per un’Italia 100% rinnovabile” allarga l’analisi anche agli usi razionali e migliori delle biomasse, all’idroelettrico esistente e a un suo ripensamento in un’epoca di estremizzazione climatica, alle reti di teleriscaldamento per aumentare le opzioni di decarbonizzazione, agli accumuli distribuiti per usi termici e alla geotermia. Presenta, infine, indirizzi e proposte per le riqualificazioni energetiche degli edifici, per l’utilizzo razionale dell’idrogeno e degli elettro-bio-combustibili. Perché, eolico e solare sono più che sufficienti per la transizione, senza necessariamente ricorrere al nucleare.
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