Mezzogiorno, i luoghi comuni da sfatare


L’anno vecchio è alle spalle e il nuovo si è aperto all’insegna dell’incertezza. Metà marzo è tradizionalmente dedicato ai bilanci, tanto per le imprese che per i dati di contabilità pubblica ed è il momento quindi di interrogarsi sullo stato di salute dell’economia del Mezzogiorno, una parte essenziale del Paese. Quando venne presentato il Pnrr in Parlamento nel 2021, il Governo pose l’accento sul fatto che una parte rilevante delle risorse erano destinate al Mezzogiorno non solo per recuperare il gap infrastrutturale ma anche per invertire il processo di divergenza economica con il Nord che aveva caratterizzato negativamente il nostro Paese nei decenni precedenti. Chiuso il 2024, a che punto siamo dunque, rispetto a questo obiettivo?

L’Istat ha certificato il Pil Italiano 2024 a +0,7% e anche se mancano ancora i dati regionali, il consensus degli istituti di ricerca indica un Pil del Mezzogiorno nella forchetta 0,8-0,9%. Se confermato questo vorrà dire che per il terzo anno consecutivo il Mezzogiorno avrà un Pil sopra la media nazionale. Non è una notizia da poco perché denota l’avvio di un processo di convergenza strutturale. Alcuni individuano nell’iniezione di investimenti pubblici dovuta al Pnrr l’origine unica di questa ripresa, dando implicitamente una lettura occasionale a tale risultato: quando finiranno gli investimenti straordinari finirà l’effetto sul Pil. Viceversa, osservando le dinamiche dell’economia del Mezzogiorno si vedono elementi solidi su cui puntare per una ripresa strutturale e per sfatare i principali luoghi comuni che hanno caratterizzato l’economia del Sud Italia nella narrativa economica più corrente. In primo luogo, non è vero che il Sud sia un deserto industriale in cui non ci sia voglia di fare impresa.

Al contrario c’è una rilevante base industriale nei comparti dell’agroalimentare, abbigliamento-moda, automotive, aeronautica e spazio e anche farmaceutico. Questi 5 settori rappresentano una chiara specializzazione dell’industria del Sud poiché è qui che si concentra il 40% del valore delle attività manifatturiere (che sale al 50% per la Campania) contro una media nazionale del 29%.

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Allo stesso tempo, è alta la voglia di fare impresa, soprattutto da parte dei giovani e della componente femminile dove i tassi di imprenditorialità sono entrambe maggiori della media nazionale.

Ma ci sono anche altri luoghi comuni che non corrispondono più alla realtà del Sud Italia. Spesso si sente dire che nel Mezzogiorno le imprese sono deboli e poco competitive. La realtà, osservata anche dalla lente bancaria, ci porta a dire che le imprese che hanno superato le varie crisi e da ultima quella del Covid, sono oggi molto più resilienti e strutturate. Una recente survey di SRM dimostra che negli ultimi 4 anni le imprese manifatturiere meridionali (con almeno 10 mln di euro di fatturato) hanno aumentato gli investimenti del 41%, contro il +36% della media italiana ed hanno migliorato la propria redditività (ROI) dal 3,6% del 2019 al 7,8% del 2023. Con performances sopra le medie nazionali. È vero invece che al Sud la dimensione media è più piccola, le imprese sono prevalentemente subfornitrici di quelle del Centro Nord e infine c’è minore densità d’impresa. Su questi due fattori occorre agire anche attraverso l’attrazione di nuove imprese. La ZES unica dovrebbe incidere proprio in questo ambito.

Se prendiamo il numero delle imprese innovative del Sud Italia la crescita è stata sopra la media italiana già nel periodo 2014-2020 e questo andamento positivo è continuato, anche con maggiore slancio, come dimostrano gli ultimi dati.

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C’è poi il tema geografico, utilizzato per anni come una condanna senza appello: il Sud è periferia! Su questo è ora più evidente, anche per i radicali cambiamenti degli scenari mondiali e della stabilità a cui eravamo forse abituati, che – al contrario – il Mezzogiorno ha un posizionamento geo-economico e geo politico di straordinaria importanza. Al centro del Mediterraneo, “ponte” energetico e logistico tra Europa e Nord Africa e Medio Oriente.  Certo occorre investire sui porti e sulle infrastrutture. Occorre lanciare fortemente la ZES. Ènecessario potenziare l’intermodalità e puntare sulla logistica avanzata. Certo tanto manca per essere davvero quell’Hub di cui spesso si parla. Ma essere e percepirsi “al centro” invece che periferici fa la differenza, anche nella capacità di attrarre investimenti.

C’è un tema sul quale il vecchio racconto sul Mezzogiorno è ancora attuale: il turismo. Spesso si è detto “Il Sud potrebbe essere come la Florida!” Anche in quel caso la battuta sottolineava una potenzialità ma conteneva una critica implicita (potreste… ma non ci riuscite). Il boom turistico di questi anni ha reso giustizia sulle straordinarie possibilità di crescita del turismo e sul posizionamento nel segmento medio-alto del turismo nel Mezzogiorno. Questo ha datoconsapevolezza di due elementi: il reale peso di questo settore in termini di contributo al Pil ed occupati e il fatto che esso non deve essere inteso come alternativa all’industria (come spesso in passato era stato presentato anche da chi usava quella battuta). Il turismo è un segmento di forte crescita e potenzialità ma va inteso come pilastro autonomo e complementare, non sostitutivo, al contributo che l’industria da e deve continuare a dare al Mezzogiorno.

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Tutto bene quindi? No. Avere una percezione più equilibrata dei punti di forza del Sud Italia non significa dire che va tutto bene e non vedere problemi, diseguaglianze, carenze e difficoltà che caratterizzano questi territori. Significa solo avere più consapevolezza che i problemi possono essere superati con le proprie forze.





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